Risarcimento per eccessiva durata del processo: come ottenerlo
La durata dei processi rappresenta uno dei profili più problematici dell’ordinamento giudiziario italiano, questa risulta essere una vera e propria violazione dei diritti del cittadino, osserviamo come.
Con la ratifica della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (legge 4 agosto 1955 n. 848) il diritto alla ragionevole durata del processo ha, ormai da tempo, fatto il suo ingresso nell’ordinamento italiano.
Introdotto, in forza degli impegni assunti dallo Stato in sede comunitaria, tale diritto veniva recepito espressamente a livello costituzionale tramite la previsione dell’art. 111, comma 2, che recita “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata“.
L’Italia, tuttavia, è stata spesso sanzionata dalla Corte Europea per via dell’irragionevole durata dei suoi processi e la Legge Pinto(L. 89/2001 e successive modifiche),offre una possibilità di indennizzo per l’equa riparazione del danno patrimoniale o non patrimoniale subito, infatti, la lunga attesa della definizione di un qualsiasi giudizio, genera nel cittadino sfiducia nella giustizia e più in genere nelle istituzioni, senso di impotenza e, quindi, in definitiva uno stato d’animo negativo che può essere ristorato in termini di danno morale ai come previsto all’art. 2 comma 1 della l. n. 89 del 2001.
Ma quando possiamo considerare la durata di un processo “irragionevole”? Contatta lo Studio Abbruzzese per saperlo
L’articolo 2.2bis della legge c.d. Pinto stabilisce che per il primo grado di giudizio sia ragionevole una durata di tre anni, di due anni per il secondo grado e di un anno per il grado di legittimit. Tali termini variano in caso di procedure di esecuzione forzata, che si considera di durata ragionevole se contenuta nel termine di tre anni, e per le procedure concorsuali se contenute nel termine di sei anni.
A partire dal 31 ottobre 2016, per i processi che, a quella data, non avranno ancora raggiunto una durata irragionevole né saranno stati assunti in decisione, la procedura prevista dalla legge Pinto potrà essere attivata, a pena di inammissibilità della domanda, solo dopo aver esperito i cd. “rimedi preventivi”. Tali rimedi sono differenti a seconda della tipologia di processo che si contesta
Il ricorso c.d. Pinto va presentato dalla persona che ha subito il danno, assistita da un legale munito di procura speciale, al presidente della Corte d’appello del distretto in cui ha la sede il giudice innanzi al quale si è svolto il primo grado del processo contestato.
Al ricorso vanno sempre allegati, in copia autentica, l’atto introduttivo del giudizio, le comparse e le memorie, i relativi verbali di causa e provvedimenti del giudice e il provvedimento che ha definito il giudizio
Se fino a quest’anno l’azione si poteva proporre esclusivamente nel termine di sei mesi dal momento in cui è divenuta definitiva la decisione che ha concluso il procedimento, a seguito della sentenza n. 88/2018 della Corte Costituzionale, una volta maturato il ritardo, il ricorso può essere proposto anche in pendenza del procedimento presupposto.
L’indennizzo che può essere corrisposto dal giudice ammonta ad una cifra non inferiore a quattrocento euro e non superiore a ottocento euro per ciascun annoo frazione ultrasemestrale di anno in cui il processo ha ecceduto la durata ragionevole. Tuttavia, è possibile prevedere in determinati casi un importo maggiore o minore che non superi, però, il valore della causa o quello del diritto accertato dal giudice se inferiore.